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Le mie battaglie perse in partenza

Le mie battaglie perse in partenza

Ci sono quelle due o tre cose che devo proprio capire perché continuo a fare ogni giorno, ripetutamente e senza sosta, incazzandomi.

Mi mettono costantemente in circolo AoNPU (Adrenalina ormai Non Più Utilizzabile) perché dopo avermi caricata a mille va a finire male, sempre.

Eppure io continuo a non mollare, mai.

Me l’hanno sempre detto che sono del Toro, e ora forse inizio a crederci.

La mia battaglia più divertente

– maneachetroppo – è quella con la batteria del computer.

Ormai si presenta al massimo una volta al giorno (perché sono una furbona e ho ricomprato il portatile nuovo vendendo i miei 3 reni, e la batteria regge), ma ci sono stati casi in cui sono riuscita a ripetere la stessa storia anche 4 volte nella stessa giornata, innervosendomi come pochi.

Chi mi conosce lo sa, lavoro sempre e solo con il portatile (follia, ma questa è un’altra storia) e lo faccio in piedi, per terra, sui divani, nei bar, nei treni, nello studio di qualcuno, in spiaggia dove e quando voglio.

Ecco, fino a qui tutto molto bello se non che il problema serio nasce quando sono in un posto chiuso dotato di corrente elettrica. Non ho strane fobie anche se certo, non sogno mica di restare attaccata alla 220v, ma il problema non è questo.

C’è qualcosa di potentissimo e sconosciuto che impedisce a me e il mio cervello di prendere la nostra mano e collegare l’alimentatore al computer prima che si spenga dopo mezz’ora di minacce di suicidio. Perché mica accade così senza preavviso, assolutissimamente no. Gli avvisi iniziano al 20% di batteria restante, il che vuol dire che ci sarebbe tempo per cucinare l’arrosto.

Ma io no. Impossibile.

Fossi pigra forse lo capirei.

Ogni volta è una sfida e io la vinco solo quando sovrappensiero mi alzo per sgranchirmi le gambe nel mio ufficio del giorno e, per fare ordine intorno a me, attacco il cavo.

Per fare ordine.

Già già.

Il fatto è che quelle 3 ore di tempo in cui il computer si accascia nel suo 20% di batteria sono una carica micidiale di adrenalina, una spinta immane di produttività – anche se assolutamente destinata.

Molto simile a quando ti scappa la pipì sotto casa: che tu debba fare le scale o prendere l’ascensore sai che devi fare poche mosse, quelle giuste.

C’è da dire che detta così sembra la cosa più proficua e geniale del mondo, se non fosse che ormai mi sono rilassata e mentre prima lo stimolo della pipì lo sentivo al 20% ora arriva intorno al 5%, quando il tempo che ho a disposizione è diventato quello per far bollire l’acqua della pasta, all’arrosto ci penserò domani.

Tutto questo perché non sono mica scema e ormai ho imparato a non farmi prendere dall’ansia inutilmente.

Stesso problema mi si presenta con il latte nel microonde.

Già ho i nervi quando lo faccio perché penso a quando mia mamma mi diceva che il microonde non è sano ma io, da brava figlia degenere, lo faccio comunque tutte le mattine e mi bevo il mio bel tazzone di latte con le microonde, ma stando attenta a mischiarli bene.

Il punto però è che prima di arrivare alla fase del mischiare, è capacissimo che io debba ripetere la procedura qualche volta perché questa è la ricetta della seconda battaglia delle mie giornate:

– Mettere il latte nel microonde

– Non considerare la potenza

– Girare la manopola del tempo secondo dei calcoli non meglio identificati

– Aspettare fino al TIN!

In entrambe le battaglie se ho intorno qualcuno questo è quello che succede regolarmente, e io continuo a non salvarmi mai:

– “Isa, guarda che hai il xx% di batteria”.

/ “Isa guarda che hai il latte nel microonde”.

E io, con fare irremovibile e neanche un minimo accenno a voler invertire il destino, pure un po’innervosita

– “Lo so”.

E dopo qualche minuto, qualunque battaglia io stia combattendo, il risultato è sempre PUFF.

~

In foto: quella parte di me – teppista e dispettosa – che ancora oggi mi permette di perdere tutte le mie battaglie.