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HO CHI MIN / SAIGON
Day 17/18
Dal diario di un invasore

HO CHI MIN / SAIGON
Day 17/18
Dal diario di un invasore

Ecco la nostra ultima tappa in Vietnam, il massimo punto di entropia dell’universo: HO CHI MINH, per i vecchi amici SAIGON.

All’arrivo fuori dalla stazione dei bus un numero impossibile di motorini, tanti ma talmente tanti che non so come facessero a muoversi. Sembrava fossero incollati a terra e che fosse la pista a girare per la città, un equilibrio di spazi altrimenti impossibile, un’enorme bisarca mista.

Siamo arrivati con il viaggio più lungo della mia vita – che non sono mai stata in Australia. 24 ore di sleeping bus non-stop.

Essere trasportato raso terra è la cosa che preferisco in assoluto, è proprio il sogno di avere un letto con le ruote per girare sdraiata nel mondo, un passeggino per grandi, uno skateboard su cui mettersi di schiena e guardare le stelle.

È vita continua senza le interruzioni e vuoti temporali che si generano viaggiando in aereo, è continuità di scoperta, è poter vegliare su chi dorme o si è appena svegliato spiando un po’ del suo intimo quotidiano. Nello stesso modo entreremo in Cambogia, a pancia all’aria guardando il tramonto.

A HO CHI MINH esistono strade coatte vere, di quelle con la musica a tromba e locali turistici all’ennesima potenza che non si sa davvero chi ha voglia di entrarci che intenzioni abbia. Impossibile parlare, impossibile avere un battito del cuore regolare, impossibile anche bere un cocktail in forma liquida che per colpa della potenza dei bassi esce e rientra schizzando nel bicchiere ad ogni colpo, come nei cartoni animati.

Tra l’altro ogni locale ha la sua musica a tutto fuoco e se proprio devo dirla tutta mi dispiace per loro che se la battono così ma la cosa più fica di tutte è stare al centro della strada a girare su se stessi come manopole che scelgono dove sintonizzarsi. Il vuoto non esiste.